Il mais è stato portato in occidente da Cristoforo Colombo assieme ai pomodori, alla patata, ai peperoni e ad altri ortaggi.
L’introduzione alla cultura in Italia si è sviluppata con facilità perché questa pianta cresce anche in terreni poveri purché abbia molta luce.
La sua raffigurazione è presente anche nei cornicioni di palazzo Ducale di Venezia.
Fin da subito il popolo veneto ha compreso la sua importanza a livello alimentare; riesce a quietare la fame.
In momenti di carestia questa pianta ha sfamato intere popolazioni. Il risvolto negativo è che cibandosi esclusivamente con essa le persone hanno sviluppato la pellagra. Questo è stato dovuto al fatto che al cereale mancando la vitamina pp ha originato carenze nutritive nelle persone.
La farina veniva usata anche per gli animali, più precisamente venivano cucinati per loro i “pastoni”.
I pastoni consistevano nel cucinare la polenta assieme alle verdure dell’orto che venivano scartate oppure che avanzavano.
Venivano cucinati soprattutto in inverno e dati da mangiare agli animali, come le galline, le oche, i tacchini,
ancora tiepidi affinché potessero ritemprarsi dal freddo.
Alle scrofe, dopo che avevano partorito, veniva cucinata appositamente per loro, indipendentemente dal periodo, e per più giorni una polentina dove veniva aggiunto dello zucchero, per rincuorarle e gratificarle dalla fatica del parto.
Le pannocchie di adesso sono prevalentemente gialle. In verità molti erano e sono ancora nelle coltivazioni autoctone i colori di queste. Si va dall’arancione, al rosso, al nero, all’arlecchino, al bianco.
Le farine che vengono prodotte in veneto sono quella bramata, quella fioretto e quella bianca
La farina bramata è molto calorica e viene usata per la tipica polenta.
La farina di qualità fioretto si presta molto bene per cucinare polente morbide.
La farina bianca è una peculiarità del Veneto e la si usa per accompagnare piatti di pesce. Oggi giorno
la coltivazione è quasi scomparsa e reperirla è difficoltoso.
Un tempo la farina bianca veniva coltivata solo in pianura e quella gialla sia in pianura che in montagna.
La coltivazione del mais è molto impegnativa perché le fasi di lavorazione per la maturazione e raccolta della pianta sono parecchie.
Questo lavoro ora viene svolto, per la maggior parte, dalle macchine.
Un tempo veniva svolto a mano. Molte erano le persone che occorrevano per il lavoro e molto lo sforzo compiuto per esso.
Con l’aiuto dei buoi si arava il terreno. Le sementi venivano interrate a mano e in numero abbondante nel caso che, per i più svariati motivi, non fossero nate nel numero sufficiente.
Una volta spuntate si provvedeva al diradamento in modo che la germogliazione fosse uniforme e ogni pianticella avesse lo spazio sufficiente per svilupparsi.
Si pensi che esse appena nate misurano sui 2 centimetri di altezza e poi a maturazione raggiungono i due metri. Subito il loro colore è di un bel verde smeraldo poi da fine agosto, primi dai primi settembre le loro foglie e il loro stelo inizia a diventare marroni.
A schiena china le persone estirpavano le erbacce altrimenti esse toglievano vigoria alla pianta di mais.
Anche se la pianta è resistente abbisogna di acqua.
L’acqua veniva erogata a scadenza prefissate dal consorzio del paese. Solitamente era durante la notte o alle prima ore del mattino. Per permettere all’acqua di bagnare le piante dovevano disporre i solchi fra le file del granoturco e sorvegliare l’acqua che non trasbordasse.
Quando il granoturco era maturo tutta la famiglia era impegnata alla sua raccolta.
Le pannocchie venivano messe nelle ceste e portate prima nel portico e poi nel granaio.
Qui venivano sgranate e riposte in uno spazio ventilato e apposito.
Fatto questo lavoro, dopo all’incirca un mese, ci si recava nel campo e si estirpavano dal terreno le piante oramai divenute secche. Si accatastavano e venivano usate per fare “il letto” alle mucche.